I focus precedenti

Quando una realtà entra nel perimetro del gruppo, entrano subito ‘in casa’ anche i suoi rischi regolatori, ambientali e sociali. Da quella lettura non discende soltanto un eventuale sì o no all’operazione, ma il conto di lungo periodo: quanto peseranno su fabbrica e filiera gli adeguamenti richiesti, quali cambi di processo e quali scelte sui fornitori serviranno, con quali tempi. L’adeguamento passa soprattutto da procurement e riprogettazione, ma sta in piedi solo se aggancia anche una cultura aziendale condivisa
Crescere per linee esterne significa anche affrontare una sfida: trasformare un’operazione raccontata in termini di sinergie in risultati che tengano in fabbrica (e sul conto economico). Qui i direttori operations diventano il perno della partita: leggono la logica industriale, analizzano plant e reti logistiche, decidono dove ‘esportare’ il proprio modello e dove lasciare che sia l’acquisita a dettare lo standard. L’obiettivo? Coniugare efficienza produttiva, risposta al mercato e persone
L’eccellenza di processo nasce da una serie di azioni: eliminare gli sprechi, restare agganciati alla domanda, accorciare il lead time per correre solo dove serve. Ma senza persone coinvolte questo equilibrio non regge. E per garantire la tenuta nel tempo serve una ‘governance del cambiamento’ (continuo). La ricetta? Visione, competenze, risorse, incentivi e piani d’azione
In un contesto di shock geopolitici, domanda instabile e filiere fragili, ‘fare meglio e più veloce’ non basta più. Lo hanno detto senza giri di parole i direttori operations al Festival Città Impresa di Bergamo. E allora, cosa c’è ‘oltre’? Dati affidabili, capaci di far emergere subito scostamenti e colli di bottiglia, affiancati da un lavoro continuo di risk management su fornitori, impianti e persone, ragionando in ottica di costo totale di processo
Una panificazione della capacità efficace deve far emergere in tempo reale la disponibilità in termini di risorse utili a soddisfare puntualmente la domanda. È con questo approccio che diventa possibile tradurre una visione progettuale in una previsione concreta, per migliorare progressivamente tutti gli aspetti legati alla scalabilità, all’efficienza e all’accuratezza delle varie risorse da utilizzare
Se la capacità diventa un indicatore visibile e aggiornato, la pianificazione è più realistica: si riducono imprevisti e ritardi, si affinano le scelte di fornitura e di stock spingendo (laddove è opportuno) sul just-in-time. E nei settori in cui i picchi sono la nuova normalità questa lettura consente di decidere prima se assorbire, spostare o prezzare l’extra, evitando di scaricare solo sui reparti il costo della flessibilità
La pianificazione deve partire dalle rotte: non dallo storico né da ciò che dice il marketing, ma da lead time reali che ordinano le priorità. Si comincia con un ciclo settimanale che traduce il forecast per origine e rotta, introduce soglie d’azione sugli slittamenti e affida a un responsabile di flusso l’allineamento tra acquisti, produzione e logistica. Il risultato? Meno cambi all’ultimo e scorte leggere dove la rotta è stabile, con protezioni mirate su rotte critiche
In un contesto instabile pianificare non vuol dire più (solo) prevedere, ma governare l’incertezza. Il demand planning diventa la regia: da forecast rigidi si passa a una pianificazione per step settimanali, con soglie legate ai tempi di percorrenza e alle reali capacità dei fornitori. Con la logistica che fa da cuscinetto e sistemi di S&Op che riallineano mercato e fabbrica, il segnale può diventare azione prima che la domanda cambi di nuovo