I focus precedenti

Una panificazione della capacità efficace deve far emergere in tempo reale la disponibilità in termini di risorse utili a soddisfare puntualmente la domanda. È con questo approccio che diventa possibile tradurre una visione progettuale in una previsione concreta, per migliorare progressivamente tutti gli aspetti legati alla scalabilità, all’efficienza e all’accuratezza delle varie risorse da utilizzare
Se la capacità diventa un indicatore visibile e aggiornato, la pianificazione è più realistica: si riducono imprevisti e ritardi, si affinano le scelte di fornitura e di stock spingendo (laddove è opportuno) sul just-in-time. E nei settori in cui i picchi sono la nuova normalità questa lettura consente di decidere prima se assorbire, spostare o prezzare l’extra, evitando di scaricare solo sui reparti il costo della flessibilità
La pianificazione deve partire dalle rotte: non dallo storico né da ciò che dice il marketing, ma da lead time reali che ordinano le priorità. Si comincia con un ciclo settimanale che traduce il forecast per origine e rotta, introduce soglie d’azione sugli slittamenti e affida a un responsabile di flusso l’allineamento tra acquisti, produzione e logistica. Il risultato? Meno cambi all’ultimo e scorte leggere dove la rotta è stabile, con protezioni mirate su rotte critiche
In un contesto instabile pianificare non vuol dire più (solo) prevedere, ma governare l’incertezza. Il demand planning diventa la regia: da forecast rigidi si passa a una pianificazione per step settimanali, con soglie legate ai tempi di percorrenza e alle reali capacità dei fornitori. Con la logistica che fa da cuscinetto e sistemi di S&Op che riallineano mercato e fabbrica, il segnale può diventare azione prima che la domanda cambi di nuovo
Con una people strategy agganciata al business si accelerano le risposte, si portano le decisioni vicino al flusso e si innesca il miglioramento continuo. Ma il pensiero sistemico non nasce da sé: «Prima si misura, poi si cambia». Si parte dai fatti: scan dei processi, esito atteso, roadmap. Come si rende affidabile? Con titolarità e lavori standardizzati che diventano l’interfaccia tra cultura e metodo: rendendo visibile la norma e permettendo di intervenire senza risalire la gerarchia
Per gestire le operations in contesti instabili serve un approccio sistemico, non reattivo. Prima perciò vanno mappate le interdipendenze tra funzioni e processi, per calibrare poi la variabilità e creare margini di sicurezza dove servono davvero. Infine bisogna definire una ‘grammatica dell’autonomia’: chi può decidere cosa, entro quali limiti e con quali criteri. Così il segnale operativo (e la decisione) viaggiano veloci e nel punto giusto della filiera
L’Italia dell’Ai vive un paradosso: l’entusiasmo cresce, si sperimenta con applicazioni consumer, ma l’‘app store’ per l’industria resta semivuoto. Le colpe sono diffuse: infrastrutture fragili, dati disordinati, competenze scarse, fiducia limitata. E così i processi restano manuali e le aziende devono contare sull’ingegno dei singoli. Evitarlo si può, in tre mosse: riordinare le informazioni, definire le responsabilità, verificare maturità dell’infrastruttura digitale (e dei suoi fornitori)
Integrare l’Intelligenza Artificiale in azienda non significa installare software, ma intervenire sul modo stesso in cui si produce. Si parte da database, analisi as-is e casi d’uso misurabili. Manutenzione predittiva, gestione del know-how e pianificazione sono tra i campi di intervento più promettenti, così come logistica e magazzino. Ma solo se prima si organizzano le informazioni, si definiscono roadmap precise e si coinvolgono le persone